Quale potrebbe essere l’augurio migliore per un cristiano in vista di un nuovo anno?
Consapevolezza e impegno, coerenza e fiducia sembrano costituire il bagaglio migliore per il prossimo cammino della Chiesa. Atteggiamenti soppesati, che sembra coraggiosamente ammettere Papa Francesco nel suo discorso alla Curia romana dello scorso 21 dicembre 2019.
E’ doveroso leggerne alcuni stralci e meditarli!
Che ne sarà della fede cristiana tra alcuni decenni? Non ha avuto paura di parlarne anche il nostro Vescovo nella Messa delle notte di Natale. Che questo ci unisca nello sforzo di comprendere sempre più la grandezza della nostra fede e di testimoniarla a chiunque con la parole e con la condotta di vita!
Questo il migliore augurio.
Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità, non più!
Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati.
Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, che non vuol dire passare a una pastorale relativistica.
Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata.
Ciò fu sottolineato da Benedetto XVI quando, indicendo l’Anno della Fede (2012), scrisse: «Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone».
E per questo fu istituito nel 2010 il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, per «promuovere una rinnovata evangelizzazione nei Paesi dove è già risuonato il primo annuncio della fede e sono presenti Chiese di antica fondazione, ma che stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della società e una sorta di “eclissi del senso di Dio”, che costituiscono una sfida a trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verità del Vangelo di Cristo».
A volte ne ho parlato con alcuni di voi… Penso a cinque Paesi che hanno riempito il mondo di missionari – vi ho detto quali sono – e oggi non hanno risorse vocazionali per andare avanti. E questo è il mondo attuale.
La percezione che il cambiamento di epoca ponga seri interrogativi riguardo all’identità della nostra fede non è giunta, a dire il vero, all’improvviso. In tale quadro s’inserirà pure l’espressione “nuova evangelizzazione” adottata da San Giovanni Paolo II, il quale nell’Enciclica Redemptoris missio scrisse: «Oggi la Chiesa deve affrontare altre sfide, proiettandosi verso nuove frontiere sia nella prima missione ad gentes sia nella nuova evangelizzazione di popoli che hanno già ricevuto l’annuncio di Cristo» (n. 30). C’è bisogno di una nuova evangelizzazione, o rievangelizzazione.
L’atteggiamento sano è quello di lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo presente e di coglierle con le virtù del discernimento…
Il cambiamento, in questo caso, assumerebbe tutt’altro aspetto: da elemento di contorno, da contesto o da pretesto, da paesaggio esterno… diventerebbe sempre più umano, e anche più cristiano. Sarebbe sempre un cambiamento esterno, ma compiuto a partire dal centro stesso dell’uomo, cioè una conversione antropologica.
Noi dobbiamo avviare processi e non occupare spazi:
«Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi.
Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa».
Da ciò siamo sollecitati a leggere i segni dei tempi con gli occhi della fede, affinché la direzione di questo cambiamento «risvegli nuove e vecchie domande con le quali è giusto e necessario confrontarsi».
(dal DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLA CURIA ROMANA PER GLI AUGURI DI NATALE
Sabato, 21 dicembre 2019)